NUOVE SCOPERTE NELLA GENETICA DELL'EMOCROMATOSI

Nel 1996 è stato identificato il gene dell'emocromatosi e nei pazienti affetti da tale patologia sono state originariamente descritte due mutazioni denominate C282Y ed H63D.
La maggior parte dei pazienti risulta essere omozigote per la C282Y, gli eterozigoti composti (C282Y ed H63D) costituiscono circa il 5-7%, mentre gli omozigoti H63D sono rari ed hanno una forma di malattia molto leggera. Una quota di pazienti risulta essere eterozigote per una sola delle due mutazioni se non addirittura completamente negativa per entrambe. Recenti studi, condotti in Italia, hanno mostrato che solo il 64% dei pazienti affetti da emocromatosi sono omozigoti per la mutazione C282Y ed una percentuale simile é stata riscontrata in altri paesi del Sud Europa.
Questi dati portano a pensare che la malattia è caratterizzata da una certa eterogeneità genetica e che quindi:
a) possono esistere altre mutazioni nel gene HFE non ancora identificate;
b) possono essere presenti difetti in altri geni che codificano per proteine coinvolte nel metabolismo del ferro.
Quest'ultima ipotesi è avvalorata dal fatto che sono stati individuati soggetti affetti da emocromatosi che non mostrano alcuna associazione tra la malattia ed il cromosoma 6 su cui è sito il gene HFE (emocromatosi non-HFE correlata). Ricordiamo a questo proposito come l'emocromatosi giovanile, una forma di emocromatosi molto severa che si manifesta prima dei 30 anni con gravi complicanze, sembra dipendere da un gene situato sul cromosoma 1.
In quest'ultimo anno sono state condotte indagini al fine di caratterizzare dal punto di vista genetico gli individui che non presentano le mutazioni classiche nel gene HFE. Tali studi hanno portato a molteplici risultati.

Il gruppo di Monza, coordinato dal dott. Piperno, ha individuato due nuove mutazioni nel gene HFE che sono state denominate rispettivamente Brianza ed Ossola in relazione al luogo di origine del paziente in cui per prime sono state individuate. Entrambe le mutazioni risultano essere severe poiché portano alla creazione di un segnale di stop prematuro che quindi dà luogo ad una proteina incompleta che non può funzionare. Questi risultati sono stati pubblicati su Gastroenterology, rivista medica di rilevanza internazionale.
Si pensa che queste alterazioni si siano generate circa due secoli fa per un evento casuale e che poi si siano trasmesse di generazione in generazione. E' stato anche ipotizzato che la frequenza di tali mutazioni, nelle aree geografiche interessate, sia più elevata rispetto a quella calcolata per la mutazione classica minore H63D. Per poter confermare tale ipotesi sono in atto da circa due mesi collaborazioni con il Centro Trasfusionale di Monza e di Domodossola per la raccolta di campioni di sangue su cui effettuare i test genetici al fine di determinare le frequenze di tali mutazioni. Ciò risulterebbe essere di notevole importanza per la costruzione di un test genetico completo che permetta di individuare precocemente i soggetti predisposti a sviluppare la malattia, dal momento che l'adozione tempestiva di un protocollo di salassi periodici elimina lo sviluppo delle complicanze dell'emocromatosi e consente di dare una normale aspettativa di vita ai pazienti.

Un secondo gruppo italiano, quello di Torino coordinato dalla prof.ssa Camaschella, ha invece scoperto il coinvolgimento di un altro gene, identificato nel 1999 e chiamato TfR2 (Recettore della Transferrina 2), nello sviluppo della patologia. In particolar modo, l'analisi completa di tale gene in soggetti affetti da emocromatosi ha evidenziato la presenza di una mutazione che risulta essere assente nei soggetti sani. Tale alterazione comporta, anche in questo caso, la formazione di un segnale di stop prematuro e quindi la sintesi di una proteina non funzionante. Il lavoro di questo gruppo è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista genetica Nature Genetics. Questo risultato offre la possibilità di effettuare la diagnosi molecolare nei soggetti che sviluppano un'emocromatosi non-HFE correlata.

Entrambe le scoperte sono a favore della teoria secondo la quale l'emocromatosi è una patologia eterogenea in cui più fattori genetici entrano in gioco. Questi risultati inoltre offrono nuove prospettive per meglio comprendere i meccanismi molecolari coinvolti nello sviluppo della malattia.

Il comitato scientifico
Direttore dott. A. Piperno

[Articolo pubblicato il 14-06-00]