L'EMOCROMATOSI NON È UGUALE PER TUTTI
Fattori acquisiti e genetici modificano il quadro clinico della malattia

La grande maggioranza dei casi di emocromatosi ereditaria è causata dallo stesso difetto genetico, cioè dalla omozigosi per la mutazione C282Y del gene HFE, condizione che si verifica quando entrambe le copie del gene, ereditate dal padre e dalla madre, si trovano mutate e quindi non perfettamente funzionanti.

Non tutti i soggetti affetti da emocromatosi sono però uguali fra di loro: la gravità dei sintomi, l'entità del sovraccarico di ferro e dei danni da esso generati sono infatti estremamente variabili da paziente a paziente. Esiste addirittura la possibilità che il difetto genetico, in una piccola quota di casi, possa non manifestare la sua presenza per tutta la durata della vita del soggetto.

Quali sono fattori che influenzano la diversa "espressione" della malattia e che in alcuni soggetti riescono addirittura ad annullarne gli effetti?

FATTORI ACQUISITI

Le perdite mestruali e le gravidanze nella donna, così come altre eventuali piccole perdite croniche di sangue (attenzione che non nascondano problemi seri) anche nell'uomo, le donazioni di sangue, influiscono in modo protettivo sullo sviluppo di un sovraccarico di ferro marcato.

L'evidenza maggiore di questo è data dalla minor frequenza e gravità con cui l'emocromatosi si manifesta nelle donne nel periodo fertile. In questi casi il ferro perduto con il sangue va a controbilanciare, almeno in parte, quello assorbito in maggiori quantità in conseguenza dell'emocromatosi.

Viceversa, la coesistenza di altre condizioni che facilitano l'assorbimento di ferro, come per esempio un tratto talassemico (portatore sano), possono aggravare in modo marcato la rapidità e l'entità del sovraccarico di ferro nei pazienti con emocromatosi, accelerando lo sviluppo dei danni d'organo.

Anche un'elevata assunzione di alcool o la compresenza di un'epatite virale cronica può accelerare lo sviluppo della cirrosi epatica.

FATTORI GENETICI

Alcuni esperimenti condotti nell'animale suggeriscono che il patrimonio genetico individuale possa giocare un ruolo determinante. Inoltre, alcuni studi hanno evidenziato che fratelli affetti che appartengono allo stesso nucleo famigliare tendono a presentare caratteristiche simili, facendo supporre che possano aver ereditato non solo la mutazione ma anche altri fattori in grado di influenzarne l'espressione.

Un importante studio in corso presso il centro di Monza potrebbe contribuire a far luce su questa complessa rete di interazioni individuando quali siano i geni in grado di influenzare la gravità della malattia. Questa ricerca, svolta in collaborazione con i centri di Verona (Prof. Girelli) e Milano (Prof.ssa Fargion e Prof. Conte), prevede lo studio di oltre 300 soggetti con emocromatosi ereditaria.

Lo studio consiste nell'analisi di varianti genetiche (dette polimorfismi) in più di 40 geni coinvolti nella regolazione dello stato del ferro e cercherà di definire se alcune di queste varianti, normalmente presenti in molti soggetti, possano associarsi ad un differente sovraccarico di ferro.

Per chi non lo sapesse i polimorfismi genetici sono la base della variabilità individuale, quella che ci rende unici pur appartenendo alla stessa specie umana. Sono piccole variazioni disperse nell'intero genoma, di per sé non in grado di creare particolari alterazioni o modificazioni, ma sono estremamente frequenti (qualche milione).

L'interazione di questi polimorfismi fra di loro (data la loro frequenza, le combinazioni possibili sono in pratica infinite) è però in grado di determinare un effetto tangibile. Nel caso dell'emocromatosi è possibile che alcuni di questi polimorfismi possano influenzare in modo peggiorativo o protettivo lo sviluppo del sovraccarico di ferro. Se fosse così, si potrebbe arrivare a realizzare un test applicabile nella pratica clinica per identificare i soggetti a rischio e non.

I risultati preliminari di questo studio sono stati presentati alla 42^ Riunione Annuale dell'Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, un importante organismo italiano che riunisce la comunità di medici e ricercatori italiani che si occupa di epatologia.

L'analisi condotta sui primi cento soggetti – e per un numero limitato di geni – ha infatti fornito risultati incoraggianti: la presenza di alcune varianti di geni coinvolti nel metabolismo del ferro sembra essere associata a una più severa espressione di malattia, e allo stesso modo si intravede per alcuni geni contemporaneamente presenti nello stesso soggetto la tendenza ad una azione combinata.

L'individuare quali siano i fattori genetici legati alla più severa espressione della malattia non rappresenterebbe peraltro soltanto un significativo passo in avanti nella conoscenza dei fenomeni che stanno alla base della patologia, ma fornirebbe anche importanti strumenti rapidamente trasferibili nell'attività di diagnosi e cura.

Prof. Alberto Piperno
Dr. Matteo Pozzi

[Articolo pubblicato il 10-08-09]