COMPLICANZE DELL'EMOCROMATOSI EREDITARIA: DIABETE

L'associazione di diabete, cirrosi epatica e colore bronzino della pelle era nota più di cent'anni fa e questo quadro clinico veniva chiamato "diabete bronzino" per definire la malattia oggi nota come emocromatosi.
Il diabete è quella condizione caratterizzata da un aumento della concentrazione del glucosio nel sangue (glicemia) che può dipendere o da una ridotta produzione di insulina da parte delle cellule pancreatiche o da una sua alterata efficacia biologica.

La frequenza del diabete nei pazienti con emocromatosi ereditaria era, fino a vent'anni fa circa, assai elevata e variava (a seconda degli studi) tra il 40% e il 70%. Come si può osservare nella tabella, la sua frequenza si è progressivamente ridotta nel corso degli anni in conseguenza della sempre più precoce diagnosi della malattia.

Frequenza di cirrosi epatica e di diabete nei pazienti con emocromatosi dal dopoguerra al 1990
(dati tratti da: Strohmeyer G. e Niederau C., 2000)

1947-1969 1970-1981 1982-1991
Cirrosi epatica 79,8% 48,8% 41,0%
Diabete mellito 73,8% 39,2% 30,1%

E' inoltre importante sottolineare la stretta associazione che esiste, nei pazienti con emocromatosi, tra diabete e cirrosi epatica. Studi successivi hanno dimostrato che meno del 15% dei pazienti con emocromatosi in stadio pre-cirrotico sono affetti da diabete. Al contrario il diabete è presente in oltre il 70% dei pazienti con emocromatosi e cirrosi. Così come per la cirrosi, esiste una stretta correlazione tra l'entità delle alterazioni del metabolismo degli zuccheri e l'entità del sovraccarico di ferro (v. figura).

Un sovraccarico di ferro lieve-moderato si associa ad una minore incidenza di diabete e ad un'alterazione del metabolismo glucidico più lieve e potenzialmente reversibile. Un sovraccarico di ferro severo determina, in aggiunta, un danno spesso irreversibile, delle cellule pancreatiche che producono l'insulina.

LE CAUSE DEL DIABETE NELL'EMOCROMATOSI
Due sono gli eventi che contribuiscono all'origine del diabete nei pazienti con emocromatosi ereditaria:
1. Insulino-resistenza. Le cellule epatiche infarcite di ferro sono meno sensibili all'azione dell'insulina. Ciò determina una minore capacità di metabolizzare gli zuccheri che comporta un'aumentata produzione di insulina. In una fase iniziale questa condizione può manifestarsi con uno stato cosiddetto di intolleranza glucidica evidenziabile solo con un test da carico di glucosio per via orale. In una fase successiva si manifesta una condizione stabile di iperglicemia: il diabete.
2. Danno pancreatico. L'accumulo di ferro nel pancreas porta alla distruzione delle cellule beta-pancreatiche che producono insulina. Ne consegue una ridotta produzione di insulina e quindi un diabete insulino-dipendente (che richiede cioè la somministrazione di insulina).

EFFICACIA DELLA TERAPIA FERRODEPLETIVA
Negli stadi più precoci della malattia il meccanismo prevalente del diabete è l'insulino-resistenza; in questi casi la terapia ferrodepletiva con i salassi porta ad un miglioramento rilevante, se non addirittura, alla normalizzazione delle alterazioni glucidiche. Negli stadi più avanzati della malattia invece prevale il secondo meccanismo (danno pancreatico); in questi casi la terapia ferrodepletiva raramente porta alla reversibilità completa del diabete, anche se è possibile ottenere nel 50% dei casi una riduzione delle dosi di insulina utilizzate.

CONCLUSIONI
Alcuni studi hanno dimostrato che la sopravvivenza media di pazienti con emocromatosi ereditaria senza diabete è sovrapponibile a quella della popolazione normale. Ciò ulteriormente evidenzia l'importanza della diagnosi precoce dell'emocromatosi in modo tale da prevenire con la salassoterapia la comparsa delle complicanze.

Bibliografia
Niederau C, Fischer R, Purschel A et al. Long term survival in patients with hereditary hemochromatosis. Gastroenterology 1996; 110: 1107-1119.
Strohmeyer G, Niederau C. Diabetes mellitus and hemochromatosis. In: Hemochromatosis, genetics, pathophysiology, diagnosis and treatment. Editors JC Barton and CQ Edwards, Cambridge University Press. 2000, pag: 268-277.

[Articolo pubblicato il 17-04-03]