IN MEMORIA DI ADRIANO RAMONDINI

Quando ho conosciuto Adriano Ramondini lui aveva 36 anni e io 32, eravamo quasi coetanei.
Adriano Ramondini aveva l'emocromatosi e in una forma severa e complicata quale si vede raramente oggi.
Non ricordo bene quella prima visita avvenuta al Centro anemie congenite del Policlinico di Milano nel 1985, ma ricordo bene la cascata degli eventi che ne seguirono.

L'emocromatosi all'epoca era una malattia quasi sconosciuta e confusa con altre patologie del fegato. Solo pochi anni prima era stato chiarito che fosse una malattia ereditaria, ma non si conosceva il gene la cui scoperta avvenne 11 anni dopo, nel 1996.
Alla fine di quella visita, insieme ad altri esami di approfondimento, nella relazione indicai la necessità di iniziare la terapia con salassi settimanali da eseguire presso il centro trasfusionale di Domodossola.

Ricordo bene la telefonata piena di stupore e perplessità da parte del dottor Cerutti, il medico del centro AVIS, abituato alle donazioni di sangue, dove la frequenza dei salassi era ed è soltanto di uno ogni tre, quattro mesi.
Da allora iniziò un contatto periodico regolare con Adriano Ramondini così che quando nel 1987 mi trasferii all'ospedale di Monza insieme al mio capo di allora, professor Fiorelli, lui come altri pazienti volle seguirmi.

Pur non volendo essere protagonista, lui persona schiva e di poche parole, ma con un senso umoristico particolare venato di malinconia, aprì la strada al riconoscimento di tante altre persone affette da emocromatosi in Val d'Ossola, lì dove ha vissuto.
Quando nel 1996 è stato scoperto il gene responsabile della malattia, è con lui che abbiamo iniziato i prelievi in una spedizione in loco organizzata per poter analizzare il DNA dei pazienti ossolani, una spedizione che ha portato alla scoperta di una mutazione specifica di quella valle.

Nel tempo abbiamo imparato a conoscerci senza diventare amici nel senso stretto del termine, ma sicuramente avvicinati da un sentimento reciproco rafforzato dalla scoperta di avere in comune la stessa data di nascita, il 16 ottobre, anche se in anni diversi.
Così, per molti anni era diventata una abitudine inviarsi i messaggi di auguri. Trentotto anni, tanti quanti sono gli anni trascorsi da quel 1985, non possono non lasciare un ricordo indelebile di una persona che, posso dirlo, ha segnato la mia storia come medico e come persona.

Alle mie condoglianze si uniscono quelle della dottoressa Mariani e di tutto il personale del Centro Malattie Rare e dell'Associazione tutta.

prof. Alberto Piperno
06-12-2023